sabato 18 luglio 2015

domenica 05 Luglio 2015

La mia prima volta sopra i 4000

domenica 5 Luglio al Breithorn Occidentale
Da 2 anni ne parlavo con Paolo e con Mario, mi sarebbe piaciuto fare un 4000, ma c'era sempre qualcosa che lo impediva; lo scorso anno il tempo inclemente.
Quest'anno, finite le lezioni del Corso di Escursionismo della SIEL anche qualche allievo ha cominciato a parlarne e Pietro si è dato da fare per organizzare 'sto benedetto Breithorn.
Eccoci così in 4 neofiti (Barbara, Giulia, Laura ed io) con 8 compagni disponibili ad accompagnarci in cordata.
Nell'arco di una settimana ci organizziamo, attrezzatura e lezioni di movimento su ghiaccio, per qualcuno di noi è una specie di ripasso perché è già andato su neve con ramponi e picca, per altri è una completa novità.
Finalmente arriva la domenica mattina, sveglia alle 4, si fa per dire sveglia, non ho chiuso occhio per tutta notte chiedendomi come sarà il domani e se saprò comportarmi bene in cordata, se soffrirò il repentino cambio di quota per l'impianto di risalita o chissà cos'altro. Mi sono impasticcato di Diamox, mi hanno detto che è un sistema sicuro; si vedrà.
Alle 5 si parte da Gallarate, passiamo a prendere Mario, destinazione Cervinia, che raggiungiamo poco dopo le 7e30.
Scesi dall'auto mentre si aspetta la cabina del primo troncone degli impianti, ci prepariamo con ghette ed imbrago, tanto per guadagnare tempo.
La salita al Plateau Rosà fila liscia, nessun malore di quelli da me temuti, Davide mi da del drogato per aver preso il Diamox; 'sti giovani non hanno più rispetto per noi vecchietti.
4 passi e siamo al Rifugio delle guide di Cervinia dove facciamo colazione mentre Mario continua a rompere col suo "dai che si fa tardi"; una volta usciti ci leghiamo in cordate da 3, ma intanto Mario è già partito a camminare sulla pista di sci e bisogna rincorrerlo.
C'è un bel pezzo da fare stando al bordo delle piste da sci, attraversando ogni tanto le piste, facendo attenzione a non intralciare gli sciatori ed a non essere travolti da quelli che scendono come pazzi, poi c'è da passare sotto due ski-lift ed anche qui occorre un tanto di attenzione e mettersi paralleli all'impianto di risalita ed attraversare insieme per non far passare sulla corda quelli con gli sci.
E dopo un altro tratto di pista eccoci al tunnel, lo imbocchiamo in fila indiana per lasciar libero il passaggio ai discesisti; al di la del tunnel inizia la vera salita.
Davanti a noi, leggermente a sinistra si vede la meta, un bel panettone bianco con una traccia ben segnata ed evidente anche per l'enorme numero di cordate che la stanno salendo.
Più a sinistra è il piccolo Cervino e quasi dietro di noi il Cervino, stupendo.
Seguo Carlo e Monica, legato per l'imbrago, li faccio più volte rallentare o fermare, non ho fiato, inspiro profondo dal naso ed espiro dalla bocca, un passo un respiro, un altro passo un altro respiro,ma il fiato manca comunque.
C'è già qualche cordata che scende, gente che è partita presto, devono aver dormito al rifugio, non si spiega altrimenti come abbiano fatto ad essere già di ritorno.
3 ore, mi hanno detto che in meno di 3 ore saremo in cima.
Ed è vero, in 3 ore circa arriviamo sulla cima, appena dopo Mario + Giulia + Davide; non sono stato poi così incapace.
Tira vento, ci mettiamo il guscio, non fa freddo, è l'effetto del Wind Chill che genera la sensazione di freddo; anche i guanti sono d'obbligo.
Il tempo di guardare il paesaggio che ci circonda, la catena del Rosa vista da un punto inconsueto per me, le cime che da qui fatico a riconoscere se Mario e Davide non me le indicassero.
Poi si deve lasciare spazio ad altri che stanno giungendo sulla cima, Mario decide di scendere la cresta verso il Breithorn Centrale; non ho mai percorso una cresta, ho un certo timore, ma vado, se mai provo mai saprò cosa vuol dire e se sono in grado di percorrerla.
I primi passi sono incerti, vedere a fianco a me i due pendii innevati e ripidi mi fa impressione; qualche passo poi focalizzo la mia attenzione sui passi che devo fare, attenzione a dove metto i piedi, infilare con cura la piccozza per fare sicurezza, non guardare il baratro.
Ma che cavolo, guardare il baratro è eccitante, appena posso alzo gli occhi e guardo giù, spettacolo! Adrenalinico.
Ma ora che mi sono abituato al passo ed alla vista siamo già alla sella, troppo tardi per salire il Breithorn Centrale, si scende a destra.
In discesa ci sono crepacci, un saltino ed il primo è scavalcato; pochi passi ed ecco il secondo, un saltino più lungo ed anche questo è superato; credevo peggio.
E poco oltre ci sono le altre due cordate che hanno rinunciato alla crestina e sono scesi dal sentiero di salita.
Quando ci riuniamo cogliamo l'occasione per rifocillarci e poi in fretta verso gli impianti di risalita, l'ultima corsa è alle 15e30 ed il tempo vola.
La discesa è massacrante perché la neve nel frattempo è diventata veramente molle, marcia, non importa se si cammina con i soli scarponi o con i ramponi, si scivola in continuazione nella traccia ormai profonda. La piccozza è inutile, ci si tiene in equilibrio con i bastoncini.
Bisogna ripercorrere tutto il tratto in falsopiano, quello che alla mattina aveva preceduto il lungo traverso di salita alla cima; ripassiamo poco distante dal Piccolo Cervino, poi un tratto in discesa, finalmente il tunnel.
Ci fermiamo, ci sleghiamo, metto i miei 40 metri di corda nello zaino, non li ho avvolti in modo elegante e corretto ma c'è fretta mancano 20 minuti alle 15, è tardi.
Mi precipito sulle piste di sci che sono ormai deserte, solo i gatti sono al lavoro per ripristinare la neve e livellare le piste.
Raggiungo Paolo, è vistosamente in crisi, mai successo prima, nei 6 anni da cui lo conosco l'ho sempre visto in gran forma, oggi mi dice di sentirsi uno Zombi; è forse colpa della bronchite o polmonite di 2 anni fa? (scoprirò solo martedì che già stava covando una colica renale di quelle potenti).
Supero Paolo e spingo il passo per giungere il più in fretta possibile alla stazione degli impianti, ma fatico e mi rendo conto che ogni piccola asperità del terreno la vivo come una salita snervante.
Monica con passo ancora agilissimo mi supera e in breve mi distacca di decine di metri, forse cento.
Alla fine eccoci sul piazzale antistante la funivia, sono le 15e10, beviamo quello che resta nelle borracce, sistemiamo l'attrezzatura, ramponi, piccozza, cordini e moschettoni, imbrago, io avvolgo come si deve la corda di cordata e la pongo in cima allo zaino.
Prendiamo la penultima discesa, e c'è gente che ancora arriva dopo di noi.
A gruppetti saliamo sulle cabine di discesa e ci raccontiamo le impressioni della giornata.
E' un attimo essere a valle, al caldo, poi in fretta verso le auto dove ci cambiamo.
Pietro conosce un baretto fuori Cervinia dove fermarci a bere e mangiare qualcosa. Ci sono fette di salumi e pezzi di formaggio, con patatine e bocconi di pane, chi beve birra e chi panascè o semplici succhi di frutta; intanto si rianima la discussione sulla giornata.
C'è chi come Giulia e Laura ed io è entusiasta, in attesa della prossima volta, ed invece Barbara non ha provato le nostre stesse emozioni, probabilmente non sarà con noi su un'altra cima.
Sono le 17 quando ripartiamo, ed è un'odissea il rientro, coda per scendere in valle dove i lavori in corso impediscono un traffico fluido nelle 2 gallerie di Chatillon.
Ma non è tutto, l'autostrada in direzione Ivrea è intasata, incidenti rallentano o bloccano il traffico fin dopo Quincinetto.
Restiamo in contatto telefonico tra le auto, noi siamo ormai in autostrada ed coda e pensiamo di aver sbagliato a non fare la statale; gli altri sono invece sulla statale e sono anche loro fermi, bloccati all'altezza di Bard.
Arriviamo a Gallarate  alle 21e30 passate, alle 22 sono in casa ho fatto la doccia e mi accingo a cenare quando arriva la telefonata di Maria Rosa, la moglie di Mario, non ancora rientrato.
Altro giro di telefonate e scopro che sono ancora in viaggio, arriveranno a casa alle 23 passate.
Che dire? 2 ore di andata, 3 di salita, 2e1/2 di discesa e ben 6 ore per il rientro.
Eppoi c'è la notizia di un incidente sul Terrarossa e che qualche nostro amico è rimasto coinvolto, e questo lascia l'amaro in bocca.
Le cordate:
1)   Mario + Giulia + Davide
2)   Paolo + Laura + Pietro
3)   Carlo + Monica + Ermanno
4)   Nicola + Barbara + Domenico

Pietro sei un grande, hai organizzato in un batter d'occhio quello che noi non siamo riusciti a mettere insieme in anni; vai così che vai bene

le foto di Pietro le puoi vedere al seguente link
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1035231609822421&set=a.1035231469822435.1073741841.100000067763095&type=1&theater



le foto delle escursioni fatte le trovate seguendo il link alle foto

mercoledì 8 aprile 2015

oggi come allora - al Forte di Orino




di seguito il percorso che farremo noi di Gallarate


Salita: Il luogo di avvio del sentiero n. 12 è situato all’angolo tra la Via Mattello e la Via Piave (S.S. n. 394).     Percorrendo in salita Via Mattello si raggiunge ed oltrepassa la località Quartè.      Il cammino prosegue fino a raggiungere il nucleo abitato di “Mattello” ove ha termine la strada asfaltata. Si imbocca poi una carrareccia che si diparte verso monte.     Giunti alla località Cavernago si incontra il sentiero n. 10 (Velate-Orino).      Oltrepassato il sentiero n. 10, il percorso prosegue per alcune centinaia di metri incassato sul versante orografico sinistro della profonda Valle della Tacca, prima di raggiungere il territorio della Riserva Naturale del Campo dei Fiori.      Giunti circa a quota 721 m., il sentiero n. 12 prosegue a sinistra della deviazione per la grotta del Remeron e si inerpica, dopo aver raggiunti il breve pianoro del Motterello, sulle pendici della montagna.     Si continua a percorrere il sentiero guadagnando rapidamente ma faticosamente quota fino a raggiungere, a quota 930 m.s.l.m., un’ altra importante cavità naturale di origine carsica: la Grotta della Scondurava.      Il tracciato del sentiero prosegue inerpicandosi sul crinale della montagna, risalendo alcuni tornanti ed incontrando il bosco sommitale di conifere fino a pervenire alla Strada Militare del Forte di Orino, vale a dire  il sentiero n. 1 (Prima Cappella-Forte di Orino). Ivi giunti si piega a sinistra e, percorrendo tale strada in direzione ovest, si incontrano sulla sinistra dapprima il bivio dei sentieri 11 e 13  verso valle recanti rispettivamente a Comerio attraverso la frazione “Chignolo” e a Gavirate attraverso la località “Ca’ dei  Monti”, poi il sentiero 2 che raggiunge Orino scendendo attraverso la cresta della “Colma” transitando nei pressi del “Pian delle Noci”.
Si arriva quindi a percorrere il tratto finale della Strada Militare che, dopo aver descritto alcuni tornanti, raggiunge la cima denominata “Forte di Orino”, ove sorge un piazzale fortificato militare appartenente alla “Linea Cadorna” rappresentante un ottimo punto panoramico su Prealpi, Alpi Piemontesi e Centrali ed il Verbano nonché sulla Pianura Padana Occidentale ed i laghi Varesini.

Discesa: Torniamo sui nostri passi fino ad incontrare sulla nostra destra il bivio dei sentieri 11 e 13 e lo imbocchiamo.     Scendiamo fino a quota 1000 m. dove incontriamo sulla destra il sentiero che conduce a Prà Camaree, proseguiamo diritto.     Poco avanti sulla sinistra si diparte la deviazione che porta alla grotta chiamata “Bus dul Diavul”, continuiamo sul sentiero detto “Strada Rossa” per il terreno rosso e franoso che caratterizza la zona fin verso quota 700 m.     Poco prima di giungere a quota 600 m. incontriamo una deviazione a sinistra, la imbocchiamo seguendo il sentiero 11 ed abbandonando il 13, siamo in località Caddè; dietro all’antica cascina, che dà il nome alla località, è presente una sorgente d’acqua fresca .     Dopo circa 200 metri incontriamo il sentiero 10 e lo percorriamo in falsopiano per 500 metri circa prima di incontrare la deviazione a sinistra dove continua il sentiero 10, siamo in località Zapelasch.     Teniamo la destra, la discesa si fa più ripida finché raggiungiamo l’abitato di Chignolo.     Da qui percorriamo la strada asfaltata passando dalle frazioni Campi e Vigne.     Giunti al bivio teniamo la sinistra per via Sacconaghi fino a tornare all’incrocio con via Piave e con via Mattello, da cui avevamo iniziato l’escursione  


sabato 28 febbraio 2015

22 Febbraio 2015 # all'Alpe Solcio

tanto per fare qualche passo
andiamo al Rifugio Crosta

In quel di Gallarate alle 6 di mattina piove, non sembra giornata da escursione, sarà una giornata da PAMPI, camminare sotto l'acqua forse.
Abbandoniamo l'idea di andare con Roberto ed Enrica che hanno ormai deciso di accantonare l'idea originaria della gita sezionale per il rischio valanghe in quella zona, ma che ancora non hanno deciso una meta precisa.
Andiamo al Crosta, il percorso è lungo ma sicuro, non c'è rischio valanghe facendo la strada che sale all'Alpe Solcio partendo da Maulone (900 mt.).
Facciamo colazione a Varzo e poi facciamo l'ultimo tratto di strada che appare ben pulita.
La sorpresa ci attende al posteggio che è inacessibile perchè lo spartineve ha ammonticchiato la neve al ciglio della strada; ci fermiamo, accendiamo le 4 frecce e, tolta la pala dallo zaino, spaliamo la neve e creiamo l'accesso per posteggiare l'auto; per fortuna che mi ero portato ARTVA pala e sonda, a qualcosa 'sta pala è servita alla fine.
E mentre posteggiamo arriva Enrico del Crosta, meravigliato del fatto che nessuno sia passato a liberare il posteggio, si mette a pestarla con il gatto; lo lasciamo che sta ancora facendo posto per i possibili ospiti del rifugio.
Filippo e Carlo in pochi minuti allungano il passo e spariscono dalla vista, li rivedremo più avanti che ci aspettano ad un tornante.
Ce la pigliamo con comodo, unica premura è quella di arrivare in tempo per pranzare, abbiamo avvisato Marina che ci riserva un tavolo.
La giornata si è fatta bella, cielo limpido e sole caldo, perdiamo tempo a guardare la corona di montagne che delimita a sud la Val Vigezzo e fa da spartiacque con la Val Grande, meraviglioso spettacolo.
Arriviamo lunghi, ma Marina del Rifugio Crosta (1750 mt.) è sempre gentile, mangiamo qualcosa di caldo che Marina cucina sempre egregiamente e dopo un poco di riposo ripartiamo per scendere a valle.
Cambia l'angolo di vista del Crosta, immerso nella neve è un vero spettacolo!

Scendiamo lenti, come lenti siamo saliti; ci viene una pensata, la prossima volta che la faremo con la neve ci fermiamo al Crosta a prendere il sole, ceniamo e poi scendiamo alla luce delle frontali o meglio sarebbe con la luce della Luna.

Dislivello sulla carta = 850 mt.
Distanza percorsa a piedi Andata + Ritorno =  20 km circa
Tempo di salita = 4,15  ore, prendendocela non comoda ma più che comoda, da bradipi
Tempo di discesa = 3,15  ore, sempre prendendosela comodissima
Percorso stradale Gallarate - Maulone  Andata + Ritorno = 220 km circa



potete seguirci con l'immaginazione guardando le foto scattate



le foto delle varie escursioni fatte le trovate seguendo il link alle foto

mercoledì 14 gennaio 2015

11 Gennaio 2015 # Sentiero del Viandante

da Lierna a Varenna

 A causa delle previsioni meteo avverse, vento estremamente forte anche a 100 km/h, la prevista ciaspolata allo Spitzhorli (Sempione) è stata annullata (magari si riesce a recuperarla più avanti); abbiamo così colto l'occasione per effettuare la ricognizione (meglio chiamarla esplorazione) sul tratto Lierna -> Varenna del sentiero del Viandante (a nord di Lecco).
Ci sono 2 percorsi che collegano queste località, abbiamo scelto di seguire quello così detto "alto".

Il sentiero è sufficientemente impegnativo sia per lunghezza che per dislivello, ed è di una soddisfazione estrema per gli scorci che offre sul lago.

Il tratto iniziale dopo una camminata nei sobborghi di Lierna si inerpica per 500 mt, è un sentiero veramente ripido spesso sconnesso e non concede tregua.

Nel secondo tratto, ormai da considerarsi come la discesa verso Varenna ci sono un paio di punti da cui sembra di essere sopra Bellagio e si possono vedere per un buon tratto i 3 rami del Lago di Como e buttare lo sguardo anche nella valle verso Porlezza e proprio sotto di noi verso nord c'è Varenna sovrastata dal promontorio con in bella vista la torre del castello di Vezio.

Poi c'è la visione di tutte le cimette che fanno contorno al lago, dai Corni di Canzo al Monte San Primo, ai Monti di Tremezzo ed al Crocione poi al Grona, Bregagnino, Bregagno e Pizzo di Gino e poi lo sguardo può spaziare ancora più lontano.


Il tratto finale oltre ad essere scosceso è anche su terreno sgretolato e richiede attenzione nel muoversi per le numerose radici che spuntano qui e la, pronte a fare lo sgambetto al viandante.

Il ritorno a Lierna l'abbiamo effettuato in pochi minuti con il treno.

Valeva proprio la pena di farci una camminata su questi monti
e come spesso accade a quelli del PAMPI il tempo è stato clemente con noi

abbiamo percorso 15,5 km;      salito 1020 mt.;      camminato per 4e1/2 ore e guardato in giro per ore;     ed abbiamo provato la variante che sale al Monte Fopp


giovedì 8 gennaio 2015

04 Gennaio 2015 # Devero -> Bocchetta di Scarpia

prima uscita dell'anno, Ciaspolata al Devero

Tocca al Gruppo Ciaspole organizzare le prime uscite dell'anno e di neve ce n'è poca, ovunque, per fortuna appena prima di Natale abbiamo fatto un giro al Devero per vedere in che condizioni d'innevamento è, scartato il solito Cazzola avevamo optato per il Monte Sangiatto; ma ci eravamo dovuti arrendere una volta giunti alla Bocchetta di Scarpia per le pessime condizioni del pendio.
Ci eravamo spinti fin sulla costa del Monte per vedere il Lago di Agaro, ma più in su non si era andati, sarebbe stata un'imprudenza.
Ed allora ecco che proponiamo proprio quello stesso percorso fatto 15 giorni prima da noi del PAMPI , speriamo in un poco di neve in più; sappiamo che ci sarà vento a 25 - 30 km/h nella piana del Devero, ed alla Bocchetta saranno sicuramente di più, quindi raccomandiamo a tutti di coprirsi bene.
Gli iscritti all'escursione sono più del previsto, anche 4 del gruppo Seniores ci hanno chiesto di partecipare, e al sabato si sono iscritti anche Rossano e Nicola, loro sono più alpinisti che escursionisti, ma vogliono forse qualcosa di tranquillo per digerire il panettone di Natale e di Fine Anno; alla partenza saremo in 20.
Ritrovo al solito posteggio Carrefour/K2 e partenza alle 7°°, nessuna sosta lungo il percorso per non perdere la possibilità di posteggiare su al Devero e non prima della galleria dovendo anche attendere la navetta.
Il viaggio sembra filare liscio fino a quando comincia a cadere qualche goccia che diviene sempre più insistente, per quelli del PAMPI non ci sono dubbi, questa pioggia non è un ostacolo quindi neppure ci poniamo il dubbio se continuare o sospendere l'escursione, andiamo avanti, bisogna arrivare presto per trovare i posti macchina migliori.
All'arrivo scopriamo che il parcheggio coperto è già completo e le macchine devono essere posteggiate lungo la strada; e mentre sto calzando gli scarponi posteggia di fianco a me Pietro del CAI di Sesto, scambiamo qualche parola e così scopriamo che al loro rifugio è alloggiato il gruppo degli speleo del CAI di Gallarate, non possiamo quindi esimerci dal passare al Rifugio del CAI di Sesto per salutare gli amici del nostro CAI.
Una volta che tutti sono arrivati ci accingiamo a partire ma scopriamo che qualcuno ha deciso di lasciare le ciaspole in auto "tanto di neve non ce ne sarà" è il loro commento, ma sollecitati tornano a prenderle e dopo 10 minuti si presentano al Rifugio "ciaspolemuniti". Si parte, i pessimisti aprono l'ombrello!
Il percorso da seguire prevede di passare il ponte sul Torrente Devero (1624 m.) e svoltare subito a destra; mettiamo le ciaspole ai piedi, tanto per non tenerle sulle spalle, ma non ce ne sarebbe bisogno; sappiamo che fra qualche centinaio di metri ci sarà una piccola salita che durante la ricognizione presentava il fondo gelato e scivoloso ed allora qualcuno monta i ramponcini in via precauzionale.
Riattraversaamo il torrente e lo costeggiamo per un tratto tenendolo a sinistra, nel frattempo non piove già più ma nevischia, ci inoltriamo nel bosco e seguiamo le indicazioni del sentiero per ciaspolatori che porta dopo circa 1km e 300mt ad un ponticello che supera il Rio del Sangiatto; qui la neve è già abbastanza alta da aver quasi coperto i cartelli indicatori, ma è compatta da non impedire di proseguire senza ciaspole.
Ancora 200 metri e siamo alle baite alte della Corte d'Ardui (1765 m.); qui termina il tratto in falsopiano e comincia la vera salita.
Occorre percorrere altri 600 metri prima di riattraversare il Rio del Sangiatto (1830 m.) e puntare decisamente a sud per piegare poi a nord-est e dopo altre deviazioni arrivare al traverso, esposto a sud, che domina il lago inferiore di Sangiatto (nascosto alla vista perché completamente gelato ed innevato) che precede le baite dell'Alpe Sangiatto (2010 m.).
Ci fermiamo e facciamo il punto della situazione, già tira un bel vento e non tutti se la sentono di continuare; alcuni decidono di stare ad attendere il nostro ritorno in una delle costruzioni..
I seniores decidono di fermarsi, anzi di abbandonare la comitiva e di rientrare a valle se non addirittura a casa;  Comunque è stato un piacere averli con noi; e trottano ancora allegramente    i vecchietti !!!
A ranghi ridotti riprendiamo la salita, aggiriamo il cucuzzolo che sta a sud dell'Alpe e proseguiamo poi verso mezzogiorno per dirigerci poi ad est verso la Bocchetta.
Percorriamo un lungo traverso in salita, direzione est, fino a raggiungere un pianoro (2170 m.); Rossano e Nik proseguono con le ciaspole sullo zaino.
Saliamo l'ultimo pendio, non ripido, ma flagellato da un forte vento. Sono 300 metri di percorso con un dislivello di 70 metri, ma se non sono faticosi sono invece veramente fastidiosi.
Eccoci infine alla Bocchetta di Scarpia (2248 m. 2270 per il GPS),

c'è un vento impressionante, nulla rispetto a quello provato la settimana precedente alla Massa del Turlo, allora era così forte che Paolo ed io per arrivare alla croce ci eravamo dovuti acquattare e procedere carponi per l'ultimo tratto di salita.
Ma qui non è tanto la forza del vento quanto il fatto che solleva la neve e la scaglia con veemenza in faccia, è questo che rende difficile procedere; ci sembra di essere in una sabbiatrice.
Giusto il tempo per scattare una foto e poi giù in fretta.
Lo spuntino lo faremo una volta tornati all'Alpe Sangiatto.
Si scende rapidi, incontriamo gente che sta salendo solo ora; la neve che abbiamo dovuto pestare per primi ora sembra una autostrada, hanno camminato ovunque fuori dalla nostra traccia; si notano distintamente le piazzuole di neve pestata dove la gente si è fermata a prender fiato.
Quando arriviamo alle baite troviamo altri oltre a quelli del nostro gruppo, si sono riparati tutti in quella che è la baita di mungitura, riparati dal vento ma con un gelo allucinante.
Veloci a rifocillarci e poi giù verso il Devero, qualcuno veloce e qualcuno più lento e rispettoso di chi ha ancora qualche problemino alla schiena (grande Anna ! ).
Ripassiamo dal Rifugio del CAI di Sesto per vedere se c'è ancora qualcuno dei gallaratesi, ma ormai sono partiti, c'è solo Pietro che salutiamo e ci diamo appuntamento per le lezioni del Corso Escursionismo 2015.



Poi ci salutiamo e ciascuno raggiunge l'auto con cui è arrivato. Si torna a casa.

Ma dov'è che abbiamo perso Rossano e Nik?    No,    anzi,     è il contrario,    dov'è stato e quando Rossano e Nik ci hanno distaccato e ci hanno persi?


Dislivello sulla carta = 630 mt;             nella realtà con i vari sali scendi abbiamo salito 706 mt
Distanza percorsa a piedi Andata + Ritorno =  11,7 km circa
Tempo in movimento Andata + Ritorno =  4 ore

   L'escursione è stata diretta da Paolo ed Ermanno
                        ci hanno fatto buona compagnia alcuni amici del CAI di Gallarate


potete seguirci con l'immaginazione guardando le foto scattate



le foto delle varie escursioni fatte le trovate seguendo il link alle foto

mercoledì 9 aprile 2014

PAFPI verso il Monte Todano

Venerdì sera, nell’Aula Rusnati dove si teneva l’Assemblea del CAI Gallarate, sul manifesto per l’Escursione Sezionale del 24 Marzo 2014 da Cambiesso al Monte Todano è comparsa la scritta “sospesa”, causa “condizioni meteo avverse”.

Questo vale per gli iscritti all’Escursione Sezionale, ma non per i PAMPI che si sono dati appuntamento per domenica alle 7 al solito posteggio.
Domenica mattina, ore 6, non sta piovendo, allora è sicuro che si va.
Ore 7, sotto una pioggia a momenti lievi ed a momenti scrosciante ci troviamo e decidiamo il da farsi: ormai ci siamo, il meteo di Consorzio LAMMA prevede tempo in miglioramento nel settore compreso tra Lago Maggiore e Valdossola.
Partiamo; la pioggia non ci molla fino a quando siamo in zona di Intragna, il tempo sembra andar via via migliorando.
Passiamo Cambiesso ed arriviamo a Gabbio; un cartello avvisa che è vietato il transito in caso di neve; non nevica, pioviggina appena appena, una cosa sopportabile quindi proseguiamo.
Troviamo sulla destra uno spiazzo adatto per lasciare l’auto (quota 1100 circa), qualche decina di metri più avanti la strada è imbiancata dalla neve; Paolo fa manovra e posteggia, scendiamo per prepararci alla camminata ed ecco che la pioggerellina si trasforma, ecco scendere i primi fiocchi che diventano presto sempre più grossi e sempre più fitti.
Ragioniamo, in realtà è Paolo che ragiona velocemente. Se lasciamo qui l’auto e dovesse continuare a nevicare? Non è il caso di posteggiare qui, potremmo correre il rischio di restare bloccati in questo posto. Decisione irrevocabile ed indiscutibile di PaRad, portiamo l’auto più in basso di un centinaio di metri dove, a quota 1000, in corrispondenza di un tornante, abbiamo visto un ampio spiazzo, c’è già posteggiata un’auto con carrellino ma dovrebbe esserci spazio anche per noi.
Detto fatto, risaliamo in auto e ci spostiamo, posteggiamo, ci scarponiamo, appendiamo ciaspole e bastoncini agli zaini, copri zaino a coprire tutto, zaini in spalla, ombrello aperto e via per la strada asfaltata che si sta imbiancando.
La spolverata di neve diventa presto uno strato consistente, arriviamo al luogo che avevamo scelto come posteggio iniziale che già ci sono alcuni centimetri di neve, la situazione merita qualche fotografia e così lungo il percorso ci fermiamo per qualche scatto; in prossimità di un tornante dove c’è una fontanella con una panca ed una riserva d’acqua a mo’ di piscina c’è sulla sinistra l’imbocco di un sentiero che porta alla nostra meta, ma non lo prendiamo.
Continuiamo ancora fino alla Cappella Porta a quota 1130 circa, subito prima dell’ampio posteggio, impraticabile per la neve accumulatasi durante l’inverno, si stacca a sinistra un sentiero a gradini.
Non è il caso di fare fatica inutile e poi siamo venuti per ciaspolare, e ciaspole siano, le inforchiamo e ripartiamo sul sentiero.
Camminiamo calmi sotto la neve, siamo solo in 5 e non ci sono mete da raggiungere a qualsiasi costo, non è neppure una ricognizione è una uscita tra amici, si cammina chiacchierando.
Saliamo nel bosco fino a1170 metri dove ci troviamo ad attraversare una zona scoperta e battuta dal vento, avanziamo con gli ombrelli posti in orizzontale a proteggerci dalla neve sferzante come se fossimo antichi guerrieri con i nostri scudi; le folate a tratti cambiano direzione e gli ombrelli si rivoltano (se fossimo in Lombardia si direbbe che si sverzano), decido di chiuderlo e proseguo con la neve che mi si infila sotto gli occhiali, tanto da impedirmi di tenere aperti gli occhi.
In fondo al dosso c’è un villaggetto. ci raduniamo li e qualcuno mi avverte che non ho più il coprizaino, la tormenta me l’ha strappato via e neppure me ne sono accorto, torno indietro e lo ritrovo, è rimasto incastrato tra alcuni rami di un arbusto.
Ci fermiamo a prendere fiato perché questo vento è micidiale, poi di nuovo in cammino verso le baite più avanti, sappiamo che ci sono ma non le si vede per la neve che turbina intorno a noi.
E dopo questo piccolo agglomeratodi case ce n’è ancora uno che si chiama Sunfai (1212), è preceduto da un masso su cui è posta la riproduzione in ferro di una antica incisione risalente a 3600 anni fa.
Proseguiamo e giungiamo al villaggio più grande (1260), qui ci sono case che in estate sono sicuramente abitate, case di vacanza forse; porte e finestre sono sbarrate da inferiate; attraversiamo il villaggio e continuiamo, “ancora un poco e poi torniamo”, ce lo stiamo dicendo da quando abbiamo incontrato le prime folate di vento.
Non seguiamo quello che dovrebbe essere il sentiero, che attraversa il villaggio, passiamo in mezzo ad alcune case e prendiamo per la linea di massima pendenza, non ci vuole molto ad arrivare all'agglomerato di rovine che si credeva un villaggio.
Ci fermiamo giusto il tempo di curiosare tra i muri diroccati poi prendiamo la via del ritorno; non è pensabile di continuare verso il Todano, dovremmo percorrere tutta la dorsale in balia di questo vento che soffia fortissimo.
Ed è tormenta di neve quella che ci accompagna nella discesa; questa volta dopo un breve tratto di fuoritraccia decidiamo di seguire il sentiero; possiamo dal villaggio e proseguiamo fino a Sunfai, decidiamo di proseguire fino al villaggio successivo dove potremo fermarci al coperto di qualche tettoia per consumare lo spuntino che ci siamo portati nello zaino [foto]. Troviamo un riparo tra 2 case e posati gli zaini ci rifocilliamo; la sosta è breve, ripartiamo ed attraversiamo quel tratto dove il vento si era impadronito del mio coprizaino; tocca a Pietro rincorrere il coprizaino di Liviana strappato via dal vento.
Ha smesso di nevicare, riprendiamo la discesa ed in poco tempo siamo al posteggio innevato; togliamo le ciaspole, le liberiamo dalla neve che si è ghiacciata alla base e le leghiamo agli zaini, copriamo il tutto con il coprizaino e torniamo all'auto.
Una volta spostata l'auto decidiamo che non è il caso di cambiarci completamente, cambiamo solo gli scarponi, poi subito in auto e via.
Ci fermiamo in un bar dove tra caffé, cioccolata, tortina di frolla e birra ripercorriamo a parole quanto abbiamo fatto oggi; chissà come ci chiamerà ora Mario, oggi è stato ben oltre che PAMPI.

Allora possiamo dire che è stata proprio una gita da PAFPI, non ci siamo cambiati nome siamo sempre PAMPI ma oggi è più azzeccato definirci PAFPI ovvero Po’ Anca Fiucà Partisum Istes.

  
L'escursione è stata diretta da Paolo Radice ed Ermanno
   ci hanno fatto buona compagnia alcuni amici del CAI di Gallarate 


potete seguirci con l'immaginazione guardando le foto scattate



le foto delle varie escursioni fatte in precedenza le trovate seguendo il link alle foto

sabato 11 gennaio 2014

a 4 mesi dall'escursione vi racconto il fine settimana del 21+22 Settembre 2013





Capanna Como in Val Darengo

Era più di un anno che ci pensavo, che andavo preparando questa escursione; da Livo alla Capanna Como; a sentire chi già l'aveva fatta era roba da 1 giornata andata e ritorno. Ma non era quello che avevo in testa io. Volevo una camminata impegnativa, com'è il sentiero che porta alla Corno, ma fatta con calma e guardando ogni angolo di questa valle che mai avevo percorso prima, con il Rifugio come meta finale del primo giorno, con la serata da trascorrere con gli amici di trecking, con una notte di silenzio, del silenzio che c'è solo in posti come quello.
Alla fine l'escursione è stata messa in calendario; ne ho parlato con Angelo (Macchi) che mi ha fatto vedere le foto scattate anni prima, mi ha descritto il percorso con l'aiuto della cartina; su internet ho trovato un paio di descrizioni del sentiero che porta alla Como, ma nessuno descriveva il sentiero che intendevo fare per il ritorno, passare per la Bocchetta di San Pio e per la valle Cavrig, per scendere poi ad Inghirina e tornare sul sentiero percorso il giorno prima.
Così è giunto il momento di organizzare il tutto; contatto chi tiene le chiavi del rifugio (Lorena Molinari 3357806842 oppure 3314914599 oppure 0344 89760 ), prenoto il Rifugio quasi per intero, 20 dei 23 posti disponibili, organizzo Ia descrizione del percorso, preparo il manifesto da esporre in sezione, comincio a registrare i partecipanti.
Con grande sorpresa noto che le iscrizioni non sono quante mi ero immaginato, alla fine siamo in 8 e di questi, la mattina della partenza, uno non si presenterà.

Il giorno dell'escursione è arrivato, si parte, 2 auto per 7 persone; viaggiamo veloci, ci fermiamo a Dongo a fare spesa, pane, qualche etto di bresaola della Valtellina, riso. Ciascuno ha portato qualcosa che potrà dividere con gli altri.
Ripartiamo ed in poco tempo raggiungiamo Gravedona, lasciamo la Strada Regina e seguiamo per Liro e Livo. Qui cerchiamo la casa dei Molinari, incontriamo Lorena che si raccomanda sul comportamento da tenere in rifugio e ci raccomanda di pagare il transito fino a Dangrì per non incorrere in sanzioni da parte dei vigili comunali.
Ultima ripartenza, prossima fermata tra 2 km al posteggio del Crotto Dangrì, presso il ponte Dangri; ma li non troviamo posto e siamo costretti a tornare indietro di qualche centinaio di metri. Poco male, ma nel frattempo si sono fatte le 10 e ci aspettano ore di cammino e di paesaggi da ammirare.

>> in rosso è indicato il percorso seguito da Baggio alla Capanna Como; i punti più grandi indicano: in basso a destra il punto di partenza (Ponte Danngri), in alto a sinistra il punto di arrivo (Capanna Como), al centro la sosta al Ponte di Pianezza

Finalmente, scarponi ai piedi e zaini in spalla si parte, subito una foto di gruppo sul ponte Dangrì (mt. 630), e poi in fila sull'erto sentiero che ci porta prima alla chiesa della Madonna di Livo e poi a Baggio (mt. 950). Non s"è fatta molta strada ma ci siamo alzati di 1/4 dell'intero dislivello da fare.
Baggio è un villaggio in buona parte ristrutturato c'è gente che ci viene a passare i fine settimana nelle case ormai di vacanza, è comunque una bella cosa sapere che il villaggio non è stato completamente abbandonato; d'altronde questa località è facilmente raggiungibile, 1 ora di cammino per i più lenti.
In fondo al villaggio, dove il sentiero inizia ad addentrarsi nella valle, ci sono una fontana di acqua freschissima dove attingere acqua per il resto della camminata. La sosta ci consente di riprendere fiato, di bere una sorsata di acqua, di ammirare il paesaggio che ci circonda ed i ruderi di un vecchio forno .
Riprendiamo la camminata su questo sentiero che a tratti è ben lastricato ed a tratti è sconnesso, che supera una miriade di rigagnoli quasi in secca. Alla nostra sinistra, 300mt più in basso scorre il torrente. E' una lunga camminata in falso piano, con una stupenda vista alle nostre spalle, alla sinistra dove si possono ammirare sottili e lunghissime cascate che sulla parete opposta si precipitano a valle, e di fronte a noi dove spuntano alti picchi; e questa vista ci accompagna fino al Ponte di Borgo (mt. 968) che ci porta sull'altra sponda del Rio Darengo.
Il sentiero torna a salire, dolcemente ma con costanza e ci troviamo a camminare sul limitare del bosco, poco discosto dalla riva del torrente; la temperatura si è abbassata, o forse è l'umidità che si è alzata, ma se si cammina di buona lena come facciamo noi non si soffre il freddo.
Passiamo tra vari alpeggi, ce ne sono di abbandonati e di risistemati, alcuni anche di recente; ecco allora Borgo (mt. 1050), poi il ponte (1100 mt) che porta a Stabiel, Basei e Bustecchio; poi Resiga (mt. 1200), poco fuori dall'alpeggio siamo costretti ad una variante perché il sentiero non c'è più, se l'è portato via una frana; torniamo sul sentiero e passiamo per altre baite. Sotto di noi, alla nostra destra scorse il torrente, che nei momenti di piena deve essere impetuoso visti i massi che riesce a spostare.
Poi il sentiero sembra spianare, davanti a noi, alla nostra destra, c'è un ponte di pietre siamo giunti al Pontedi Pianezza (mt. 1238); attraversiamo il ponte e ci fermiamo per fare sosta e rifocillarci nel pratone antistante l'alpeggio. E nell'occasione parliamo di cosa abbiamo incontrato e visto durante il percorso fin qui fatto, parliamo di alpeggi e ponti, di torrenti, di cascatelle e frane; ed è già ora di rimetterciin cammino, sappiamo che ci mancano ancora poco meno di 600 metri di dislivello, e secondo le relazioni lette sono anche i più duri.
E non sbagliano, sarà la pancia piena o forse le gambe che si sono raffreddate per la lunga sosta ma quest'ultimo tratto sembra davvero pesante.
Ecco poi apparire sopra uno sperone la Capanna Como, è li a poca distanza da noi, basta salire quel breve pendio, girare dietro a quel grosso masso, fare altri 4 passi e sei bell'e arrivato. Ed infatti, come tutti i Rifugi che sono degni di essere chiamati con questo nome, lo si vede in quella posizione per 1 ora, poi finalmente ci arriviamo. È una bella struttura, sappiamo che è stata sistemata da non molto, l'interno è ben messo, accogliente, un'ampia sala dal pranzo con cucina a gas a più fuochi; Paolo scalda qualche pezzo di legno per permettere a Ferdinando di poter avviare la stufa che è li di fianco, fatica a partire perché la legna, conservata nel container fuori dal rifugio, è umida, quasi bagnata. Quando finalmente prende fuoco posa altri tronchi sopra la piastra della stufa, crea una piccola catasta che pian piano si asciuga e consentirà in seguito di stare al caldo. C'è un solo neo e non è attribuibile al Rifugio od a chi tiene le chiavi, chi ci ha preceduti non ha portato a valle la pattumiera.
In fondo c'è la porta che dà accesso al reparto notte; un piccolo bagno e di fronte ad esso la scala che porta allo stanzone dove ci sono materassini dell'IKEA, foderati in cotone, belli e comodi, adagiati sul pavimento di legno dei 2 lati lunghi e su quello di fronte alla scala c'è un soppalco su cui sono stesi altri materassini a formare una serie di letti a soppalco.
Riponiamo gli zaini in un apposito scaffale presente nell'antibagno, ci diamo una rinfrescata e ci cambiamo le magliette bagnate; poco dopo entra in rifugio la proprietaria di quanto abbiamo trovato abbandonato al piano superiore, è una giovane donna, è sola, ovvio scambiare subito qualche parola, ed io vestito di scuro, scherzosamente mi spaccio per un sacerdote, lo scherzo riesce e per qualche minuto la ragazza è convinta di essere alla presenza di una comitiva di una qualche congregazione religiosa; a furia di insistere lo scherzo non è più sostenibile e tutto torna alla normalità.
Nel frattempo qualcuno ha messo a bollire dell'acqua con le verdure procurate da Liviana, patate, carote, cipolla, un gambo di sedano e non so che altro per ottenere un brodo ristoratore ed anche il brodo per il risotto da fare più tardi; ne risulta un brodo vegetale veramente gustoso e tutti ne bevono una tazza, è meglio del solito the zuccherato, bisognerà tenere conto di questa novità, è dissetante e corroborante ma soprattutto è naturalmente carico di sali minerali che reintegrano quelli persi con la sudorazione durante la camminata.
Arriva poi l'ora di preparare la cena, mi metto ai fornelli e comincio a fare un risotto con il brodo vegetale rimasto e con i funghi raccolti lungo il percorso. Alla fine ce n'è per tutti noi ed anche per Sara, la ragazza che abbiamo incontrato e che si è seduta al nostro tavolo, e qualcuno fa il bis. Come secondo si divide la bresaola e quanto ciascuno ha portato, la bottiglia di vino della ragazza è molto apprezzata e viene svuotata come quella portata da Filippo.
Durante la cena arriva una coppia di ragazzi, si lamentano dell’eccessivo costo per l'uso del Rifugio, ed intanto se ne stanno al caldo seduti su una panca di quel rifugio tanto costoso.
Arriva l'ora di andare in branda ed intanto arrivano gli ultimi ospiti del rifugio, dei giovani attrezzati per la pesca a cui si dedicheranno l'indomani nel Lago Darengo, intanto i 2 portoghesi se ne vanno a dormire fuori, nella loro tenda.
Prima di andare a letto usciamo tutti dal rifugio e stiamo a guardare il cielo stellato, è una distesa di puntini luminosi che spiccano su uno sfondo di un blu scuro e nel contempo vivo. Ma il freddo è pungente e si rientra per andare finalmente a dormire.
Filippo fa di tutto per non conciliarci il sonno, musiche a tutto volume dal suo telefono impediscono il sonno fin quasi a mezzanotte, infine arrivano nello stanzone anche i giovani pescatori e Filippo è costretto a zittire la sua emittente personale.

E' ancora buio quando ci alziamo, Ferdinando che si è alzato parecchio prima degli altri ha preparato la colazione per tutti, con le provviste che ciascuno ha portato ha imbandito una stupenda tavola; è la prima volta che viene ad una 2 giorni e ci meraviglia con il suo comportamento.
Non passa molto che compare il portoghese con una sola domanda " ma in questo rifugio non si può avere un caffè?" Io allibito non ho la prontezza di rispondere a tono, ma mi accorgo che Carlo l'ha presa male e forse qualcosa di pungente ha risposto al ragazzo; Paolo, Filippo ed io usciamo a fare le ultime foto al Rifugio ed a quanto ci circonda, il sole è ancora basso ed illumina di luce radente disegnando lunghe ombre ed illuminando le cime circostanti mentre la luna si nasconde dietro un alto picco.
È quasi ora di mettersi in cammino, mentre gli altri fanno gli ultimi preparativi, Paolo ed io, cartina alla mano, studiamo il pendio che ci sta davanti per individuare il sentiero che ci condurrà alla Bocchetta di San Pio. Una foto di gruppo e via,  si parte, sentiero tutto da scoprire, non abbiamo trovato descrizioni su questo percorso.


 >> in rosso è indicato il percorso seguito dalla Capanna Como al Ponte Dangri; i punti più grandi indicano: in alto a sinistra il punto di partenza(Capanna Como), in basso a destra il punto di arrivo(Ponte Danngri),e lungo il percorso i punti di sosta al Lago Cavrig, all'Alpe Inghirina ed al Ponte di Pianezza

Il sentiero comincia su tracce che a tratti svaniscono,  ci fermiamo spesso per individuare la direzione daseguire, qualche segno bianco-rosso lo si individua con difficoltà, ogni fermata è l'occasione per guardare indietro verso il rifugio, il lago sotto di noi, la corona di cime che lo circonda,  è uno spettacolo incantevole; dopo una breve salita effettuiamo un lungo traverso e ci troviamo all'imbocco di un erto canalino, dobbiamo riporre i bastoncini per poter avere le mani libere per aggrapparci alle roccette, sono brevi passaggi di secondo o di terzo grado, così ho letto da qualche parte, ma mi sembra che abbiano esagerato; è comunque un tratto impegnativo, non tutti gli amici delle escursioni domenicali sarebbero disposti a percorrerlo.
Alla fine del canalino sbuchiamo su uno stretto passaggio, la Bocchetta di San Pio, le nuvole nascondono le cime lontane e creano uno spettacolo accattivante, la foto è d'obbligo, poi ci consultiamo sul sentiero da seguire, consultare la cartina è indispensabile, scegliamo quello basso.
Da qui comincia la vera lezione d'orientamento di cui può godere Fabrizio, che ha seguito il Corso di Escursionismo Avanzato 2013 della SIEL (Scuola Intersezionale di Escursionismo dei Laghi). Cartina alla mano, attenzione al territorio circostante, continua ricerca di tracce ed indicazioni che sono ormai scolorite, che sembrano fatte per chi cammina in senso contrario, ma non si scoraggia anche se capita di sbagliare; subito dietro di lui c'è Paolo che lo incita e lo corregge.
Qualche indicazione in più non farebbe male, così ci permettiamo di risistemare qualche ometto.
Arriviamo al Lago Cavrig (mt. 2130) posto al centro di un anfiteatro di piccole cime; ci concediamo ½ ora di relax; Ferdinando trova girini e ranocchi; prima di proseguire scatto la foto di gruppo. Fatta. Si riparte, c'è ancora molta strada da percorrere.
Ci dirigiamo ora verso una bocchetta che vediamo in lontananza e di cui non conosciamo il nome, man mano che ci avviciniamo vediamo che è abitata da capre e pecore, due greggi distinti, verso monte Ie capre, verso valle ma su un pendio estremamente scosceso le pecore. Altra breve sosta per scattare qualche foto e subito di nuovo in cammino.
La fatica comincia a farsi sentire, io al solito chiudo la fila; di qui a poco dovrebbe cominciare la discesa, ma non riusciamo ad individuare il sentiero, quello evidente sembra puntare in alto, troppo in alto per essere quello che porta verso Inghirina. Paolo ed io decidiamo di andare in avanscoperta seguendo 2 diverse vie, lui seguirà quella alta, io scenderò per prati in direzione delle sottostanti baite che formavano l'alpeggio dell'Avert d'Inghirina (mt.1965); lasciamo gli altri ad aspettare che noi si individui il percorso da seguire; ma chi riesce a tenere a freno Filippo? si è messo sulle mie tracce e presto mi raggiunge e mi supera, alla fine individuiamo una via per scendere, diamo una voce agli altri che in fretta ci raggiungono; Paolo ha trovato una deviazione che dal sentiero alto scende verso di noi, lo prende e presto anche lui è con noi.
Il sentiero più avanti torna ad essere marcato, è pendente, davvero pendente, a lungo andare si fa sentire sulle ginocchia, lo zaino ancora pesante non aiuta.
Liviana ed io siamo rimasti indietro, finalmente arriviamo ad Inghirina, e gli altri ripartono subito, per noi non c'è tempo per recuperare, ripartiamo con loro ma restiamo in coda.
La discesa prosegue, ripida, poi finalmente il pendio si addolcisce, siamo rimasti nuovamente indietro; attraversiamo il bosco alle spalle di Pianezza e ci troviamo ad un bivio, secondo la cartina ed il programma dell'escursione si dovrebbe girare a sinistra e tenere il sentiero che costeggia la sinistra del torrente; ma distinguiamo chiaramente la voce di Filippo alla nostra destra; prendiamo il sentiero di destra e ci troviamo dopo meno di 100 metri nella radura di Pianezza, dove ci siamo fermati già il giorno prima. Zaini a terra, si pranza e si riposa un poco; intanto si decide su quale sentiero fare per scendere, concordiamo di ripercorrere quello già fatto in salita ieri, lo conosciamo, non riserva sorprese, ed è sicuramente quello più adatto, essendo più tardi di quanto avessimo previsto di impiegare per giungere fin qui. La sosta è comunque breve, si sistemano gli zaini, si stringono le stringhe degli scarponi (per questo si chiamano stringhe?) e si riparte.
Filippo in testa, Liviana per seconda sembra trotterellare, evidentemente la sosta ha giovato a tutti ed a lei in modo particolare.
La strada da percorrere è ancora tanta; ritroviamo gli alpeggi già visti ieri, Resiga, Borgo, attraversiamo il ponte di Borgo ancora tutti in gruppo, mi fermo per scattare qualche foto; il sentiero ora è quasi in piano, qualche saliscendi, non è roba impegnativa, ma ormai ogni gradino lo sento nelle gambe come fosse una salita impervia; chi è che chiude la comitiva? io, come sempre io, questa volta non perché sono la scopa ma perché sono scoppiato.
Alla fine eccomi a Baggio, Carlo è ancora alla fontana, più in la c'è Paolo che si interessa se ci sono problemi per la mia ernia; non ce ne sono più da quando mi hanno operato, 2 mesi fa, almeno credo e spero che non ce ne siano più, anche per il futuro.
Ancora qualche foto al villaggio ed un breve video agli ultimi del gruppo, i giovani hanno già ripreso il cammino da un pezzo e si sono dileguati.
Carlo e Paolo impiegano veramente poco a staccarci, Liviana ha il passo pesante, è la prima volta che la vedo così affaticata, solitamente si mette a canticchiare quando ha bisogno di farsi forza, oggi non ha neppure la forza di fare quello. Non che io sia messo meglio, ma cerco di non darlo a vedere, e forse questo mio mostrare energie, che in realtà non ci sono, non le sono di conforto. Non so come comportarmi, vorrei rincuorarla ma riesco solo a pungolarla e non a spronarla; mi sento un incapace, un aguzzino.
Più sotto si intravvede la chiesa, manca poco al Ponte d'Angri, Io sappiamo entrambi. Un ragazzino, accompagnato dai genitori, ci passa avanti con passo spedito, poi risale di corsa, sembra volerci sbeffeggiare col suo andare avanti ed indietro. Sul sentiero qualcosa di piccolo si muove rapidamente, sembra un topino ma non lo è, pensiamo sia un Moscardino una specie di piccolo ghiro, merita una foto, ed è anche la scusa per fermarci un attimo. Più avanti ne incontriamo un altro, facciamo attenzione a non infastidirlo ed a non attirare l'attenzione del ragazzino, non vogliamo che gli faccia del male.
Eccoci alla chiesa, ora manca veramente poco. si intravede il ponte, non c'è nessuno dei nostri, se ne saranno già andati verso le macchine. Quando stiamo passando sul Ponte d'Angri ecco che Paolo sbuca dal breve sentiero che a destra risale verso il Crotto d'Angri. Gli altri sono tutti li, hanno occupato un lungo tavolo e ci stanno attendendo per ordinare qualcosa da bere; birra o panache per tutti, Liviana ordina anche un panino con salame.

L'escursione è praticamente finita, mancano poche centinaia di metri per arrivare alle auto, poi anche questa galoppata resterà un bel ricordo; siamo ancora seduti davanti alle birre che arrivano i primi commenti, Fabrizio dice che le gite mie e di Paolo sono sempre le migliori per organizzazione, per ambiente e per utilità. Carlo poi ne è entusiasta, ed ancora ora, a distanza di mesi, ne parla con il medesimo entusiasmo di quel tardo pomeriggio.
Paolo ed io siamo soddisfatti, decisamente soddisfatti; guardiamo Liviana, è chiaramente stravolta dalla stanchezza, ma dall’espressione del suo viso traspare la gioia, la felicità, la soddisfazione per quanto ha fatto.
Finito il panino e le birre ci alziamo e paghiamo il conto.
Si torna a casa.

hanno partecipato                            ciascuno si è distinto come
1.       Carlo                                           entusiasta
2.       Ermanno (ASE ErBa1950)      cuoco, chiudi-fila, fotografo e narratore
3.       Fabrizio                                      allievo modello
4.       Ferdinando                                responsabile di sala e fotogrago
5.       Filippo                                        apri-fila e disc jochey
6.       Liviana                                        addetta alle vettovaglie
7.       Paolo (ASE PaRad)                 tutor di Fabrizio e fotografo

potete seguirci con l'immaginazione guardando tutte le foto scattate e le trovate ai seguenti link
> quelle di Ferdinando
 >> quelle di Paolo
  >>> quelle di Ermanno del 21 e quelle del 22
e per vedere tutte le altre nostre foto